|  |  |  |  | A.N.FU.GI. - FUNZIONARI STATALI Aderente alla UGL / STATALI
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10/09/2005 - LA RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE DEL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO NEL QUADRO DELLA GIUSTIZIA EUROPEA. “LA VICEDIRIGENZA”
Relatore: Mario Serraino (componente la Segreteria Nazionale A.N.FU.GI.)
Desidero ringraziare i rappresentanti dell’Associazione “Nuova Giustizia” ed i membri dell’E.U.R. per avermi reso partecipe di questo evento, invitandomi ad intervenire su un tema particolarmente caro all’A.N.FU.GI. ossia all’Associazione Nazionale Funzionari Giudiziari che qui rappresento e che ha costituito oggetto di innumerevoli iniziative.
Il risultato giuridico raggiunto si inserisce in un momento storico che vede impegnata la Pubblica Amministrazione in un processo di riforma delle proprie attività, finalizzato alla creazione di un sistema in grado di rispondere ai bisogni della collettività ed in armonia con il principio di sussidiarietà, fortemente voluto dalla Comunità europea.
In tale contesto il legislatore ha preso coscienza che non può esistere un miglioramento dell’azione dell’amministrazione pubblica e, quindi, un beneficio per la vita quotidiana dei cittadini, senza una dirigenza moderna, qualificata ed autorevole.
Per questo, particolare attenzione è stata recentemente posta alle professionalità più elevate, i dirigenti, ed ai loro stretti collaboratori, con l’intento di valorizzarne le capacità.
Tale orientamento lo si rinviene sia nel decreto legislativo n. 165 del 30.03.2001 che nella successiva legge n. 145 del 15.07.2002, ove, nel riordinare l’assetto della P.A., è stata creata la figura professionale del vicedirigente, quale naturale fiduciario di mansioni di carattere dirigeziale delegabili.
Il legislatore, pertanto, si è dimostrato particolarmente attento e sensibile, in un contesto normativo e finanziario di forte limitazione alle assunzioni, nel puntare sulla qualità e professionalità del capitale umano.
Con la legge 145/2002 il Parlamento è direttamente intervenuto, per la prima volta, dopo anni di legislazione delegata, a dettare nuove norme in tema di dirigenza statale, chiudendo, in tal modo, il ciclo iniziato dieci anni prima con la legge delega 421/1992 che ha dato luce al D. Lgs. 29/1993 ed alla privatizzazione del pubblico impiego.
Sostanzialmente, il legislatore del 2002 si è mosso in un’ottica di ripensamento di alcuni punti chiave dell’assetto della dirigenza, riformando tre pilastri fondamentali:
a) quello dei rapporti tra dirigenti ed organi di indirizzo politico, con inserimento di nuove regole che disciplinano il conferimento dell’incarico e la cessazione automatica di quelli di livello dirigenziale generale (c.d. spoil system); b) quello del rinnovo degli strumenti volti ad assicurare una maggiore qualificazione professionale dei dirigenti pubblici, attraverso la possibilità di effettuare esperienze lavorative nel settore privato; c) quello, infine, degli snodi tra la dirigenza e il personale apicale, mediante norme concernenti la delegabilità di funzioni dirigenziali e l’istituzione della vicedirigenza.
Relativamente a quest’ultima, risulta senza precedenti, nell’ambito del pubblico impiego, l’istituzione sul piano normativo della figura del “quadro”, con competenze intermedie tra quelle degli impiegati direttivi e quelle proprie della dirigenza. Ruolo, invece, che nel mondo del lavoro privato esiste da tempo e trova nella legge e nella contrattazione collettiva di categoria una compiuta disciplina.
Il riconoscimento della vicedirigenza non è fine a sé stesso, bensì assume rilievo centrale per il concreto esercizio delle funzioni dirigenziali, le quali possono meglio svilupparsi nel loro contenuto solo se supportate da un livello intermedio adeguato.
L’esigenza di decentrare le competenze dirigenziali è motivata anche da ragioni di buon andamento dell’amministrazione, infatti l’eccessiva concentrazione di competenze nei confronti di poche figure produce inevitabili rallentamenti delle fasi procedimentali.
E’, inoltre, vero che far scendere il livello delle responsabilità dirigenziali verso funzionari dalle competenze più spiccatamente tecniche e specializzate, posti alla direzione di strutture più ristrette e, dunque, potenzialmente in grado di adottare atti di elevato grado di specializzazione, è talvolta indispensabile.
La vicedirigenza, pertanto, va incontro sia alle legittime aspettative di chi ne ha titolo sia alle esigenze della dirigenza pubblica, che potrà così delegare funzioni a questa nuova figura professionale.
Ciò è espressamente previsto dall’art. 7, 3° comma L. 145/2002 che, nell’istituire la vicedirigenza, codifica il principio della delegabilità.
Il vicedirigente, quindi, oltre a svolgere le funzioni vicarie, e cioè a sostituire in via ordinaria e senza necessità di delega il titolare in caso di sua assenza o impedimento, potrà essere destinatario, ai sensi dell’art. 2 L. 145/2002, di apposite deleghe per l’esercizio di competenze tra quelle fissate dall’articolo 17 D. Lgs. 165/2001.
Occorre chiarire in modo inequivoco che al dirigente viene attribuita la facoltà di delegare. Egli è cioè libero sia nella concessione che nella eventuale revoca.
Si tratta di una delega all’esercizio di funzioni che non deve assolutamente essere confusa con la mera “delega di firma” che trova, invece, la sua fonte nei principi generali e non abbisogna di alcun intervento legislativo.
Non deve sfuggire che la delega potrà avere ad oggetto soltanto parte delle competenze, pertanto non risulterebbe legittima una delega globale.
La funzione vicaria e la possibilità di esercitare funzioni dirigenziali delegate renderà i vicedirigenti del tutto equiparabili ai quadri del settore privato, ovvero soggetti posti alla direzione di unità organizzative non di vertice, ma con piena autonomia gestionale e responsabilità dei propri atti, nonché potere di impegnare l’Amministrazione verso l’esterno.
Il legislatore è recentemente intervenuto per apportare un chiarimento all’art. 17 bis del D.Lgs. 165/2001 che, pur apparendo ultroneo, assume un connotato essenziale ove si consideri l’avversità mostrata da diverse sigle sindacali all’istituzione della vicedirigenza.
Con tale modifica, che rappresenta un’interpretazione autentica, ha voluto definitivamente affermare che l’area della vicedirigenza è del tutto separata da quella del restante personale.
L’aver previsto un’area per i vicedirigenti, analogamente alla dirigenza, si configura certamente come elemento di grande rilevanza nella prospettiva di una più ampia valorizzazione delle professionalità e di una migliore utilizzazione delle esperienze acquisite all’interno della stessa amministrazione, ed è coerente con il perseguimento dei criteri di efficacia dell’azione amministrativa.
L’area della vicedirigenza, inoltre, costituirà il serbatoio per il futuro reclutamento delle risorse professionali nella superiore area della dirigenza.
Nell’ambito della giustizia la vicedirigenza assume un carattere marcatamente deciso ove la si consideri fonte dell’ammodernamento cui necessita l’apparato amministrativo, diretto all’attuazione di un meccanismo che deflazioni l’attività dei magistrati ed acceleri i tempi di definizione dei procedimenti, mediante l’adozione di modelli già testati in altri Paesi europei.
E’ di immediata percezione la correlazione con la nota figura del “funzionario giudiziario”, inteso come organo amministrativo dotato di poteri e competenze proprie in materia non prettamente giurisdizionale, cui si giungerebbe attraverso un processo evolutivo del ruolo del vicedirigente.
L’introduzione del funzionario giudiziario rappresenterebbe la reale unificazione europea dei servizi non rientranti nell’attività giudiziaria stricto sensu, allineando l’Italia ad altre nazioni, come ad esempio Germania, Austria o Francia, in cui è già presente tale alta figura professionale.
Le materie di sua competenza si individuerebbero principalmente tra quelle oggi racchiuse sotto il titolo “volontaria giurisdizione”, ma non mancherebbero altre attività attualmente attratte nel campo civile come, ad esempio, i decreti ingiuntivi, ed in quello penale, quali il casellario giudiziale e la liquidazione degli onorari di avvocati periti ed interpreti.
La stessa Commissione delle Comunità europee, nel presentare a dicembre 2002 il libro verde sul “procedimento europeo di pagamento e sulle misure atte a semplificare il contenzioso nelle controversie di modeste entità”, ha posto in rilevo che l’eventuale gestione del procedimento di pagamento da parte della cancelleria consentirebbe un alleggerimento del lavoro dei giudici.
Nel 2004, sulla base di uno studio effettuato principalmente dall’Associazione Nazionale Funzionari Giudiziari, era stato presentato un disegno di legge per istituire il ruolo del Funzionario Giudiziario ma, purtroppo, pur avendo superato l’esame delle Commissioni, il Senato non lo ha approvato.
E’ indubbio che in tale circostanza il legislatore si è dimostrato meno lungimirante, essendosi lasciato sfuggire la possibilità di accorciare il divario con altri Paesi europei.
Ritengo un grave errore, in una nazione in cui i giudici togati ed onorari non riescono a far fronte al continuo incremento del carico di lavoro, non aver creduto fino in fondo in questa figura professionale che avrebbe sicuramente contribuito a diminuirne il carico.
La circostanza che tale organo funzioni perfettamente negli Stati che lo hanno da tempo adottato, apportando benefici tali in termini di celerità ed efficienza da indurre altri Paesi a seguirne l’esempio, dovrebbe portare a riflettere, soprattutto in un momento di ampio dibattito sulle recenti modifiche all’ordinamento giudiziario, in merito alla reale esistenza della volontà di realizzare anche in Italia quegli interventi mirati e diversificati che portino ad una giustizia più pronta ed efficace, con relativo beneficio per i cittadini ed in linea con gli indirizzi europei.
Passi in avanti si sono invece registrati nell’ambito dell’autonomia gestionale dei dirigenti gli Uffici giudiziari.
Attraverso la legge di riforma dell’ordinamento giudiziario si è, infatti, posto rimedio alla c.d. doppia dirigenza che ha sempre differenziato il Ministero della giustizia dagli altri dicasteri.
Più precisamente, il legislatore, partendo dal principio che tutti i dirigenti svolgono analoghe funzioni, ha stabilito che anche nella giustizia posseggano autonomia di gestione delle risorse economiche e del personale amministrativo, con relativo potere di infliggere sanzioni disciplinari lievi, competenze ad oggi condivise, in parte, con il magistrato capo dell’Ufficio giudiziario.
L’aver sottratto la diretta subordinazione del personale amministrativo al magistrato titolare dell’Ufficio, riportandola sotto quella “naturale” ed esclusiva del dirigente, consentirà una accelerazione dei tempi di intervento per far fronte alle mutevoli esigenze dei servizi e dell’utenza.
Il punto armonico di incontro delle volontà delle due figure di vertice è rappresentato da un documento congiunto, redatto all’inizio di ogni anno, ove verranno indicati gli obiettivi concordati e da raggiungere.
L’attuazione della riforma dovrebbe avvenire entro un anno, essendo subordinata all’emanazione di appositi decreti legislativi.
Con l’auspicio che giunga presto all’A.R.A.N. la direttiva del Ministro della Funzione Pubblica per attivare la disciplina dell’area della vicedirigenza, e l’augurio che il legislatore, con l’intento di facilitare l’accesso alla giustizia, prosegua nel percorso di riforma dei servizi amministrativi istituendo l’organo del “funzionario giudiziario”, ringrazio, ancora, per l’attenzione riposta.
Roma, 10 Settembre 2005
Mario Serraino Segreteria Nazionale A.N.FU.GI.
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